Spaccianeve
Spaccianeve viveva ai margini del bosco fatato,
in un monolocale fuori equo-canone semi arredato,
e si guadagnava da vivere non vendendo rose,
bensì campava smerciando la dose.
Con lei abitavano i sette Nasi contenti,
che poi erano i suoi migliori clienti,
c’erano Spinolo, Passalo, Scaldalo, Pillolo, Trippolo e Rollo,
e infine Sniffolo che era di tutti il rampollo.
Si alzavan di mattina ad un’ora molto presta,
e prendevano la pista attraverso la foresta,
era una pista lunga e polverosa,
che conduceva ad una radura erbosa,
dove i Nasi lavoravano tutta la settimana,
coltivando papaveri e canapa indiana.
“Andiam andiam, andiamo a coltivar,
tanti bei papaveri da raffinar,
e noi vogliam vogliam, vogliamo respirar,
la polverina che ci darà la felicità.”
Ma spaccianeve dirigeva la piantagione,
e suggeriva moderazione:
“Portate pazienza miei giovani amici,
mettete un freno alle vostre narici,
soltanto se i raccolti saranno buoni,
verranno soddisfatte le vostre aspirazioni.”
Intanto la malvagia Regina,
nel suo superattico con piscina,
stava armeggiando senza fretta,
con uno specchio e una lametta,
ah, no, scusate mi son sbagliato,
con uno specchio si, ma fatato.
“Specchio, specchio delle mie brame,
chi ha la roba più buona del reame?”
“Regina una volta l’avevi tu,
ma ora spaccianeve ne ha più buona e molta di più!”
“Ah, sciagurata! Come osa ostacolarmi?
Dimmi dov’è sicchè io possa vendicarmi!”
“Ai bordi del bosco valla a cercare,
e questo strano frutto in regalo le dovrai portare.”
Così la Regina partì un bel mattino,
sotto le mentite spoglie di un pusher marocchino,
e giunse poco dopo alla casina,
portando in tasca una siringa piena di stricnina.
“Benvenuto amico mio, posso darti una mano?”
disse Spaccianeve quando vide l’Africano,
“gradisci un clilom, un trip, un caffè con la panna?”
aggiunse poi rollandosi una canna.
“Gara Sbaggianeve, di ringrazio dell’invido,
e g’hai gulo ghe stasera sono brobrio ben fornido!
Gosa ne digi di farmi endrare,
gosì guesda bella bera gi bossiamo sbarare?”
Spaccianeve accettò volentieri la proposta,
senza neanche immaginare la malvagità nascosta,
ma poco dopo cadde riversa sulla schiena,
con l’ago ancora piantato nella vena.
Ora la Regina, tornata normale,
quella sventurata si mise a sbeffeggiare:
“Guardati, Spaccianeve, sei ridotta ad uno straccio,
e ho di nuovo io il monopolio sullo spaccio!
Vedi cosa succede alle persone golose?
Chi troppo vuole alla fine si trova in overdose.”
Immaginate voi lo strazio e la disperazione,
Che colse i Nasetti di ritorno dalla piantagione,
il primo di essi aprendo la porta,
la vide distesa che pareva morta:
“Oh, Spaccianeve dicci chi è stata,
che ti ha venduto roba tagliata!
Come faremo noi la mattina,
senza la magica polverina?”
E rimasero a fissare quel corpo inerte,
che aveva le gambe tutte scoperte:
“Certo però che è proprio carina!”
sussurrò Sniffolo con la sua vocina,
rispose allora rollo “che vuoi che ti dica,
è sempre stata un gran pezzo di fica!
Ma adesso che è in coma e non sente niente,
potremmo farcela tranquillamente!”
Così si disposero in fila indiana,
davanti l’ingresso di quella tana,
entrando a turno per pochi minuti,
finchè tutti quanti non furon venuti.
Quindi riposero quel corpo giallo,
dentro una bara di puro cristallo,
e dopo un viaggio di pochi minuti,
la scaricarono in mezzo ai rifiuti.
Da quel dì vissero nella disperazione,
trascurando persino la piantagione,
e diedero fondo con ritmi indecenti,
alle riserve di stupefacenti.
Era da tempo finita la scorta,
quando qualcuno bussò alla porta,
e di chi era quel tocco lieve?
Ma che domande, di Spaccianeve!!
L’accolsero tutti con entusiasmo,
addirittura sfiorando l’orgasmo,
quindi le chiesero come si chiamava,
quel tipo strano che l’accompagnava.
“Cari Nasetti, prestate attenzione,
è a lui che devo la resurrezione,
è dolce come il miele, tenero come il burro,
ed il suo nome è principe Buzzurro!”
Costui era un tipo un casino alternativo,
capelli lunghi, la barba,lo sguardo primitivo,
i jeans unti e strappati, portava un grosso anello,
gli puzzavan le ascelle, fumava lo spinello,
e quando i sette Nasi gli chiesero una spiegazione,
lui rispose così, grattandosi il panzone:
“A Nasè, cioè, io stavo a rovistà n’a mondezza,
quanno d’un tratto te vedo sta bellezza,
stava ferma, distesa, tutta sbracata,
e che dovevo fa, io m’a so chiavata!”
“E lei - chiesero stupiti i Nasi- s’è svegliata?”
“No però la voja mica m’era passata,
e lei stava sempre là, dentro sta scatola de vetro,
ahò, io l’ho ggirata, e m’a so fatta pure dietro!”
“Ed a quel punto - insistettero i Nasi- che lei s’è risvegliata?”
“Manco pe’ gnente, però la voja io me l’era levata.
Me ne stavo p’annà, abbonnandome i carzoni,
quando questa caccia n’urlo - mi cojoni!!
‘A morè - me dice- pe’ tutta sta trafila,
vedi un po’ de calà na bbella centomila!
E siccome che sta cifra nun je la potevo dà,
m’ha chiesto de seguilla e mò eccome qua!”
E da quel giorno vissero ai margini del bosco,
Spaccianeve, i sette Nasi, con in più quel tipo losco,
ripresero a coltivare, e tutto andava bene,
anche perché avevano sempre le narici piene,
mentre invece la Regina, travolta dall’egoismo,
si era data addirittura all’alcolismo.
“Tutto è bene ciò che ti fa star bene”, dice il saggio,
e a volte ne basta appena un assaggio.
Ma…. lunga la pista, stretta la via,
occhio che arriva la Polizia!!!!!
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